I rapporti tra genitori e figli spesso sono... complicati.
Ci sono tante cose pensate e non dette; altre dette ma non pensate. Credo che dietro a tante incomprensioni ci sia un "ti voglio bene" nascosto per abitudine o per orgoglio. Quest'anno, per il compleanno di mia madre, ho deciso di provare a forzare i silenzi e dare voce alle cose non dette. Ne è uscita una lettera, che mi va di pubblicare qui (con l'autorizzazione della destinataria). Al di là della nostra relazione madre-figlia, credo che possa fornire spunti interessanti su cui riflettere.
25 febbraio 2020
Penso sia una buona mezz'ora che faccio tentativi di scrivere questa lettera e cancello.
Eppure qualcuno mi ha detto che sono brava a scrivere. Sin da quando sono piccola, quel qualcuno mi dice che sono brava nelle cose più svariate... Credo, sopravvalutando molto le mie reali capacità. Potrei dire che forse è la causa di tutta la mia confusione da adulta, non riuscire più a capire in cosa sono veramente brava e in cosa no. Non è che lei lo vada a dire in giro, come quelle mamme che lodano i loro figli ogni volta che parlano con qualcuno. Lo dice ogni tanto in privato, una cosa tipo: "sei sempre stata portata per le lingue" e io mi chiedo "ma quando mai?". In realtà non è che lei parli molto in generale, più che altro sta ad ascoltare quello dicono gli altri. E grazie al cielo che non ho una di quelle mamme che continuano a cianciare del nulla, anche se non mi sarebbe dispiaciuto avere un dna giusto un pelo più estroverso. Dopo 27 anni e molta introspezione innata, potrei dire esattamente cosa ho ereditato, cosa non ho ereditato cosa avrei voluto ereditare, nel bene e nel male. Potrei fare un ritratto tanto vero da essere disturbante e qualche volta lo faccio fin troppo facilmente e sinceramente. Ma oggi è un giorno speciale e vorrei dire alcune cose, non meno vere e sincere, ma per qualche motivo molto meno facili. Cara mamma, non abbiamo bisogno che tu ci dica "verrà il giorno in cui vi ricorderete di me"... Non ho bisogno che tu non ci sia più per apprezzarti meglio. Tutti sappiamo quanto ti sei spesa e ti spendi per noi, che fortuna è averti, quanto sei fondamentale per noi, quanto ti vogliamo bene... Tutti lo sappiamo e ci ricordiamo, casomai il difficile è dirlo. Ho subito voluto essere indipendente e da quando convivo in un'altra casa potrei sembrare più indipendente che mai. Eppure vivo serena la mia indipendenza perché so che lì ci sei ancora tu, a fare da cuscinetto casomai ci fosse una caduta. Ormai credo di essere adulta, tu alla mia età hai avuto me, eppure io mi sento ancora molto più "figlia" che "genitore". Ho bisogno della mia mamma ancora un pochino. Sembra strano, ma adesso più che mai sento rassicurante la tua presenza, perché la mia vita è ancora tutta da scrivere, tutta sottosopra... e se per sbaglio scambiassi il sotto per il sopra, ci saresti tu pronta a prendermi al volo, proprio come quando ero piccola. Ho una grande certezza: tu sei lì, e ci vuoi un bene immenso, e sei pronta a fare di tutto per noi come hai sempre fatto. Non è sempre stato rose e fiori e immagino che fare il genitore sia un mestiere difficile. Ma se dopo la tempesta torna la quiete, vuol dire che hai fatto un buon lavoro e sei un'ottima mamma. Sono felice quando vieni a bere il caffè, quando ti aggiusto l'orologio, quando mi chiedi di ordinare qualcosa in internet, quando mi chiedi aiuto per qualche progetto, sai perché? Perché quando ti sono utile, mi sembra di essere -in minima parte- indispensabile per te come tu lo sei per me. Ed è vero che non chiamo spesso... ma degli illimitati minuti gratis, ne uso 10 al mese. Non so proprio di cosa parlare al telefono con nessuno, e anche di persona difficilmente parlo se non ho qualcosa di importante da dire. Le chiacchiere le so ascoltare, ma non fare. Avrò preso da qualcuno... Non dovresti usare le chiamate come metro per misurare l'amore. Dovresti interpretare i miei silenzi, perché non so bene cosa raccontare ma sono così felice quando passiamo del tempo insieme. Dovresti leggere dietro l'insistenza, quando preparo un piatto in più anche se dici no, quando casualmente tiro fuori dal frigo la verdura o quando ti chiedo venti volte di fermarti a cena, perché se resti mi rende felice. E perché so che ci vogliono diciannove no, prima che al ventesimo tu dica sì... perché non vuoi disturbare, perché hai da fare... mi sbaglierò ma mi sembrano tutte scuse per mettermi alla prova e vedere quanto insisto a farti restare. E se dici ancora no, magari hai veramente da fare, ma chiedo la ventunesima volta per sicurezza. E poi ti do la verdura da portare a casa, perché l'avevo comprata apposta per te, per convincerti a restare a cena. Dalle azioni potresti capire quanto sei importante, perché non sempre vengono le parole. A proposito di gesti che contano, mi piacerebbe abbracciarti più spesso e ricevere più abbracci... eppure per qualche motivo sembrano sempre così strani, rari e un po' impacciati. Voglio che tu sappia che ti voglio un bene infinito e voglio che tu lo sappia adesso. Non voglio più sentire quella frase "verrà il giorno ecc ecc" e soprattutto non voglio che tu senta il bisogno di dirla per ricevere una smentita. Che forse non basta una smentita, forse serve proprio dire un "ti voglio bene e ti penso". Pensavo che fosse scontato, ma forse è meglio dirtelo. Ed è bello dirtelo. È importante averti qui e voglio godermi ogni momento. Mi impegno per migliorare ancora e dirtelo a voce, più spesso. Allora per il tuo compleanno vorrei uscire dalla zona di comfort e farti un regalo... Dici sempre che non vuoi regali, ma io cerco sempre di trovare un oggetto o qualcosa di speciale, che parli di te o incontri i tuoi gusti. Qualcosa di Klimt, o qualche maglia colorata, o qualche coperta calda. Perché anche se non vuoi niente, a me invece piace che ti resti un segno. Quest'anno non so cosa regalarti ed è meglio così, perché mi sono presa il tempo per scriverti "due" righe. So cosa regalarti, forse è banale... Ma per noi sarà tanto speciale... Vorrei regalarti un abbraccio forte (non troppo forte perché è meglio evitare altre fratture alla schiena), però lungo lungo, lungo quanto vuoi. Sei e sarai sempre la mia mamma e non ho nessun dubbio sul tuo amore, io sono e sarò sempre tua figlia e vorrei che non avessi dubbi sull'amore immenso che ho per te.
Arianna
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In questi giorni sto cercando di combattere il freddo polare a suon di tisane calde, profumo di cannella e maglie morbidissime. Questo clima invernale, a cui manca solo la neve per essere un quadretto perfetto, mi ricorda che siamo giunti alla fine dell'anno. Il 2019 è ormai alle spalle. Ho una piccola tradizione segreta -almeno fino ad oggi- che voglio condividere con voi. Quando comincia ad avvicinarsi il 31 dicembre sono solita dare un nome all'anno che è passato. Un titolo che deve essere conciso ma rappresentativo di ciò che è accaduto e di come mi sono sentita. In vista dell'intitolazione di questo 2019 (e della scrittura di questo post) ho rispolverato i miei ultimi diari. Tra parentesi, rivangare tra i vecchi diari è sempre un'azione che mi riempie di imbarazzo per cose scritte/fatte... imbarazzo che cerco di minimizzare con un "ma ero giovane". Purtroppo non so per quanti anni funzionerà ancora come scusa. Fino a quanti anni ci si può considerare giovani e giustificare così le proprie vergognose bravate? Suppongo sia una questione di prospettiva. Comunque per non divagare troppo, magari ci rifletterò in un altro post. Curiosi di conoscere i nomi dei miei ultimi anni? Mi trattengo dal commentarli. ;)
[Rullo di tamburi] 2019 o "Anno della luce in fondo al tunnel" A cosa è dovuto il nome di quest'anno? Ora ve lo spiego e facciamo insieme un'altra cosa che amo fare: mutuare dall'ambito aziendale vari principi e applicarli all'ambito psicologico. Da qui nasce il mio bilancio psicologico di fine anno, ispirato al bilancio di chiusura che solitamente si fa in azienda. Il bilancio in un'azienda è importante perché definisce le previsioni (o budget) del nuovo anno, che si preparano sulla base dello storico, dei risultati raggiunti, degli obiettivi e risorse impiegate e che sarà possibile impiegare in futuro. Allo stesso modo, a livello psicologico, è importante fermarsi a riflettere e prendere coscienza di cosa è stato il nostro anno, per individuare punti di forza, rallentamenti, cause di successi e insuccessi, capire cosa ripetere e cosa no, cosa migliorare, cosa è necessario abbandonare... O anche semplicemente riconoscere che è andato tutto bene ed esserne grati! Ecco una parte del mio bilancio di fine anno. Comincio a intravedere una luce in fondo al tunnel. Forse "luce" è una parola grossa, più che altro potrebbe essere una fiammella o un lumino da morto... ma voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, ottimismo che in genere è positivamente correlato ai bicchieri già bevuti (e ho deciso il nome del 2019 dopo un buon brulè!). NB: Dopo due brulè, potrei essere così ottimista da mettermi a fare le ombre cinesi con la luce in fondo al tunnel. Fatto sta che a un certo punto del 2019, diciamo in estate, sono piombata nel baratro. Baratro sul cui orlo cammino da anni e in cui alla fine sono precipitata -c'era da aspettarselo-. Credo di aver toccato il fondo più fondo che abbia mai toccato fino ad ora nella mia vita e a un certo punto ho anche temuto di non riuscire mai più a risalire. Il lato positivo quando capitano cose tremendamente brutte, è che spesso le persone scoprono di avere forze che non credevano di avere. Più che altro non hai altra scelta, se non essere/diventare forte. Credo si chiami istinto di sopravvivenza. Il lato positivo di avere le energie così ridotte ai minimi termini, è che riparti da ciò che è veramente essenziale. Concentri quel poco di energia che ti rimane su un solo obiettivo (risalire), senza disperderla di qua e di là per cose inutili -come si fa in genere quando si sta bene e non si hanno delle priorità così sostanziali. Dal momento che ero in fondo al baratro nel buio totale, per passarmi il tempo mi sono inventata una battuta (ho scoperto che nei momenti più disperati esce il mio migliore lato autoironico). "Ho toccato il fondo. Se la battuta fa schifo e non vi capacitate di come io possa averla trovata splendida, capitemi: era il periodo più brutto della mia vita. Qualcuno ha riflettuto sullo stesso tema, usando parole molto più efficaci delle mie... e quindi mi limito a riportarle, perchè proprio non potrebbero uscirmi meglio. Questo discorso è stato pronunciato dalla scrittrice J. K. Rowling (Harry Potter vi dice niente?) per la cerimonia di laurea ad Harvard nel 2008. Spesso per fare questi brevi speech alle cerimonie universitarie invitano persone illustri, i quali teoricamente dovrebbero "illuminare" i neolaureati, in maniera più o meno riuscita... Nel caso della Rowling, credo abbia tenuto un discorso davvero onesto e sincero, oltre che di ispirazione per tutti i ragazzi (e gli adulti) di oggi. "Ciò di cui avevo più paura alla vostra età non era la povertà, ma il fallimento. In conclusione... Quest'anno ho imparato: Ho imparato che sono forte. Molto forte. Ho trovato da sola le forze per risalire e questo lo terrò bene a mente per il futuro. Ho proseguito il mio "master esperienziale da autodidatta" sulla gestione dell'ansia. Perchè con tutte le ansie che ho da anni, il fatto che io sappia fronteggiarle così bene deve significare qualcosa. Ho imparato a "dire no" una cosa in cui ho sempre avuto difficoltà. La mia eccessiva buona educazione, troppo spesso coincideva con il subire giocoforza il volere degli altri. Diciamo che ho imparato a dare al mio punto di vista lo stesso valore che dò al punto di vista degli altri, e a farlo rispettare se necessario. Una grande conquista devo ammettere. Dopo ripetuti tentativi falliti in questi anni, ho finalmente smesso di prendere una pastiglia (no, non l'antipsicotico. :P ) Mi sono riempita di acne, come ogni volta che ho provato a smettere, motivo per cui ho sempre ricominciato. Perchè inserisco questa scemenza irrilevante nel mio bilancio di fine anno? Perchè se è vero che la forza si vede anche e soprattutto nelle piccole cose, questo da parte mia è un grande segnale di forza. Mi vedo orrenda e vi assicuro che non è semplice vedersi orrendi e accettarlo lo stesso. Soprattutto sapendo che potrei risolvere la cosa ricominciando la mia pastiglia. Il non farlo, dimostra quanto mi sono rafforzata rispetto agli anni (e ai tentativi) precedenti. Cosa NON ho imparato: Come dicevo prima, per fare questo post ho ripreso in mano alcuni vecchi diari. Ebbene, a partire dal 2015 -ma forse anche da prima- i miei buoni propositi si ripetono ogni anno come un mantra inutile: voglio smetterla di sprecare tempo nella mia vita, basta procrastinare, voglio essere più costante nelle cose, imparare un po' di autodisciplina. Inutile dire che nel 2019 ancora non ho imparato, nè fatto alcun passo avanti in tal senso. Pazienza, direi che per questa volta c'era già abbastanza carne al fuoco. Di conseguenza, con grande sorpresa di tutti, copio e incollo i buoni propositi per il 2020. ;) Buoni propositi per l'anno nuovo: Anche le cose che NON impariamo lasciano un qualche tipo di insegnamento. Dunque, faccio tesoro dell'insegnamento degli anni precedenti: i buoni propositi sono puntualmente disattesi. Allora (per restare in linea con il mio binomio psicologia- contesto aziendale) facciamo che quest'anno i "propositi" cambiano nome e li chiamo "obiettivi". Come fare? Semplice, un buon obiettivo deve seguire la regola S.M.A.R.T. A volte poi, può essere utile dividere in sotto-obiettivi e pianificare i vari passaggi, come farò io! Vi terrò aggiornati sui progressi.... Sono grata per: Le persone fantastiche che ci sono nella mia vita, in particolare il mio compagno (un amico e un sostegno ineguagliabile) e i miei piccoli pelosi (i quali alle 7 di mattina hanno fame e mi hanno evitato il rischio di non riuscire ad alzarmi dal letto la mattina e cadere nello sconforto). Sono felice delle nuove conoscenze fatte quest'anno, che mi hanno arricchita. Sono grata per la nuova spinta di energia che è arrivata e che con un colpo di coda mi traghetta nel 2020 con determinazione! Un regalo per voi! Vado matta per i planners stampabili, in rete se ne trovano tantissimi... ma per l'occasione del mio bilancio di fine anno, ne ho ideato e creato uno appositamente per me e per voi! Sarà utile per riflettere su questo 2019 che è passato e sull'anno che ci aspetta. Potete scaricarlo gratuitamente qui sotto, in pdf o in formato immagine.
E voi che nome dareste al vostro anno? Mi piacerebbe tanto conoscerlo! Potete rispondermi in privato attraverso il form qui sotto oppure commentando il blog. Oggi mi è capitato di riflettere sulle “etichette” che attribuiamo a persone, rapporti, concetti... e anche a noi stessi. Siamo immersi in un contesto sociale fatto di relazioni e le etichette guidano il nostro modo di comportarci verso gli altri. E' rilevante per la nostra mente fare distinzioni tra amici, conoscenti, fidanzati, parenti, perchè con ognuno di essi instaureremo un rapporto diverso. Categorizzare è un processo cognitivo automatico che il nostro cervello compie in continuazione e in maniera del tutto automatica, a un livello non consapevole. Certo pensare per “etichette” può sembrare riduttivo, ma ha una sua utilità e una funzione adattiva. Il mondo è così complesso e ricco di stimoli che la nostra mente sarebbe completamente sopraffatta se non avessimo delle strategie per velocizzare alcuni processi. Categorizzare ci permette con “un minimo sforzo” di rispondere alle situazioni in maniera accurata, sulla base delle nostre esperienze. Mi basta sapere che quel tipo è un parroco per capire immediatamente che forse è meglio tenere per me che "dio riesco anche a sopportarlo, è il fan club che non mi va giù". Il fatto che la nostra mente utilizzi strategie come la categorizzazione per funzionare velocemente e in automatico, ci permette di risparmiare energia cognitiva che possiamo direzionare verso altri tipi di processo. Anche se le “etichette” vengono applicate in modo automatico e non conscio dal nostro cervello per risparmiare energia, non significa che non si possa “perdere del tempo” per pensarci in maniera deliberata. Anzi, dare nomi alle cose indefinite è un'attività che faccio molto spesso e che mi diverte molto. Per esempio, a chi non è mai capitato di provare delle emozioni per cui non esiste un nome preciso? A me capita spessissimo di venire sopraffatta da una serie di sensazioni che non saprei neanche da che parte cominciare a spiegare (figuriamoci dargli un nome). A tal proposito, a dimostrazione che la categorizzazione è un fenomeno legato anche alla cultura, capita spesso che in altre lingue si trovino parole per cui non esiste una traduzione esatta. Ecco due delle mie preferite:
Comunque, senza perderci troppo nei miei disturbi mentali e malinconia pervasiva, QUI trovate un elenco di parole intraducibili che sono davvero carine! Certo, è un bel vantaggio quando la lingua ti mette già a disposizione una parola che definisce perfettamente il concetto che vuoi esprimere. Questo avviene nella maggior parte dei casi e sicuramente ha la sua utilità, soprattutto se consideriamo che per capirci con le altre persone dobbiamo necessariamente adottare un codice comune. Tuttavia in quei casi eccezionali in cui non hai a disposizione la parola adatta, può essere molto divertente inventarne una ad hoc! Le mie preferite? Ce ne sono due (in inglese) che non sono presenti nel dizionario ma che “rendono bene l'idea”, come si suol dire. Textpectation: il senso di febbrile attesa e anticipazione che percepisci quando stai aspettando la risposta a un messaggio. (Praticamente ho passato così la mia adolescenza) Per chi non sapesse l'inglese, il termine unisce le parole: Text = sms sul cellulare Expectation = aspettativa/attesa Bedgasm: soddisfazione che percepisci quando finalmente vai a letto, dopo una giornata molto lunga. Se siete curiosi di leggerne altri, ecco QUI un elenco di questi neologismi fantastici. Come anticipavo all'inizio, oggi mi è capitato di riflettere sulle “etichette” perchè mi sono trovata a definire una persona che, per come la percepisco, non corrisponde bene a nessuna delle categorie più comuni (amica, conoscente...) Certo, avrebbe un ruolo ben preciso e delimitato - perchè non solo noi categorizziamo, ma alle volte è la società a incasellarci in una serie di categorie predeterminate (ad esempio alunni e maestri, genitori e figli...) Nella mia vita però è capitato spesso che mi stessero strette le etichette di “ruolo” e i comportamenti che ad esse andrebbero collegati. Per esempio ho mantenuto uno splendido rapporto con i miei maestri di scuola, che sinceramente non ho mai visto solo come “maestri di scuola”. Sono sempre stata curiosa di conoscere “la persona” oltre al “ruolo” e quindi la loro vita e i loro interessi. Gli uomini di cui sono stata innamorata non sono mai stati solo miei “compagni”, ma anche “amici”, “confidenti”, “insegnanti” e molto altro. Alcune volte credo sia più facile dare delle definizioni di ciò che non è, rispetto a definire ciò che è. Mi è abbastanza semplice dire che la persona con cui ho parlato oggi -non è una semplice conoscente -non è un'amica... E quindi cos'è? Potrei anche trovare una nuova parola o un nuovo ruolo per definirla (tra l'altro non è detto che l'altra persona condivida la stessa visione o accetti la nuova etichetta). Il fatto è che quando dai un'etichetta, ad essa sono associati anche certi tipi di schemi mentali e caratteristiche. Se in alcuni casi può essere divertente trovare un nome, in altri può essere altrettanto divertente non trovarlo; lascia più libertà e spazio alle possibilità di relazione. Mi accontento di godere della reciproca compagnia che -questo posso dirlo con sicurezza- è molto bella, stimolante e arricchente. |
AriannaUn goccio di tè? Biscottini? Buona lettura! Archivi
Febbraio 2020
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